In Consiglio sì allo ius soli e alle coppie omogenitoriali. Opposizione divisa.
Ieri in Consiglio comunale tre mozioni su temi di grande importanza sociale e civile: una sul diritto negato alla cittadinanza promossa dal gruppo di maggioranza Apriti Budrio e altre due sulla tutela delle coppie omogenitoriali e dei loro figli, proposte rispettivamente dal gruppo di maggioranza e da due consiglieri dell’opposizione, Enrico Procopio e Luca Capitani. Tutte e tre le mozioni sono state approvate con un ampia votazione favorevole del Consiglio.
Il voto contrario sulle tre mozioni è arrivato solo dai tre consiglieri di Noi per Budrio che appartengono anche a Fratelli d’Italia. Una spaccatura evidente, dunque, in seno alla sedicente lista civica che aveva candidato Maurizio Mazzanti a sindaco. Comprensibile l’imbarazzo, ma altrettanto deboli le giustificazioni addotte sulla divergenza di opinioni che rappresenterebbe, secondo loro, una ricchezza. Questo può valere in astratto, ma non in questo caso visto che si parla di diritti, di vita reale delle persone e soprattutto di ciò che determina la propria identità politica e la propria idea di convivenza civile.
La visione della destra su questi temi è chiara, reazionaria e retrograda. Lo vediamo tutti i giorni nel dibattito nazionale. E ne abbiamo avuto prova anche a Budrio in Consiglio comunale ieri. Così come è evidente la spaccatura culturale, ideale e valoriale all’interno del gruppo Noi per Budrio: una compagine nata e tenuta insieme finora dal solo tentativo di sommare le forze per occupare migliori posizioni di potere nel territorio, colpendo e indebolendo il centrosinistra.
La nota del consigliere Andrea Quaiotto che ha presentato la mozione della maggioranza sulle coppie omogenitoriali, è esplicita nel rivendicare pari diritti e pari trattamenti per chi si trova nella stessa condizione di genitore:
L’obiettivo principale di questa mozione è garantire che i diritti dei bambini non siano limitati e che non vengano discriminati rispetto agli altri figli. È fondamentale riconoscere che i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali abbiano gli stessi bisogni e diritti di quelli cresciuti in famiglie tradizionali. Non dobbiamo permettere che l’orientamento sessuale dei genitori influisca negativamente sulla vita dei loro figli. Pertanto, è essenziale che il riconoscimento legale delle coppie omogenitoriali includa entrambi i genitori. Immaginiamo per un attimo una situazione in cui venga riconosciuta solo la paternità e non la maternità o la paternità in caso di coppia omosessuale. Nel caso in cui venisse a mancare il padre biologico, il bambino andrebbe in istituto e verrebbe affidato ai servizi sociali. Questo risultato non solo negherebbe l’amore e l’impegno dell’altro genitore, ma potrebbe anche privare il bambino di un ambiente familiare stabile e amorevole. Per evitare tali situazioni ingiuste, è fondamentale che la legge riconosca entrambi i genitori all’interno delle coppie omogenitoriali. Solo in questo modo si possono tutelare i diritti e il benessere delle bambine e dei bambini, garantendo loro un ambiente sicuro e amorevole.
I TESTI DELLE MOZIONI
Gruppo Apriti Budrio
Il Consiglio comunale di
Premesso che:
l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 sancisce che: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi”; l’articolo 3, comma 1 afferma che: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente” e che il minore ha diritto a essere tutelato a prescindere da qualunque condizione personale sua o dei suoi genitori;
la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 24, protegge il diritto del minore alla famiglia e al riconoscimento del proprio status di figlio o figlia, in particolare affermando – al comma 3 – che “ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”;
la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel proprio parere del 10 aprile 2019 – reso su richiesta della Corte di cassazione francese – ha affermato l’esistenza, in capo agli Stati firmatari della Convenzione, dell’obbligo di riconoscere lo status di figlio nei confronti di entrambi i genitori ai minori nati a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita – ivi compresa la gestazione per altri – anche quando tali tecniche non sono consentite nell’ordinamento in cui il bambino nasce o si stabilisce assieme ai propri genitori; gli Stati membri restano liberi di scegliere attraverso quale strumento assicurare tale riconoscimento, a condizione che tali strumenti assicurino pienezza, certezza e stabilità dello status di figlio nel più breve tempo possibile;
Considerato che:
la Corte costituzionale, con le sentenze n. 32 e 33 del 2021, ha riconosciuto l’esistenza di una lacuna dell’ordinamento italiano in relazione alla tutela delle bambine e dei bambini con genitori dello stesso sesso, invitando il legislatore a provvedere con l’avvertenza che – nel protrarsi dell’inerzia legislativa – si sarebbe in presenza di un “intollerabile” vuoto di tutela per queste bambine e questi bambini; in particolare, la Corte ha ritenuto che – pur essendo necessario un intervento legislativo per disciplinare organicamente la materia, anche assicurando l’equilibrio tra tutela dell’interesse del minore e legittimo interesse dello Stato a non incentivare il ricorso, in Italia, a talune tecniche procreative – gli strumenti di tutela alternativa attualmente riconosciuti dalla giurisprudenza e, in specie, l’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44, lettera d) della legge 5 maggio 1983, n, 184 non siano idonei ad assicurare una tutela equivalente rispetto a quelle discendenti dalla registrazione anagrafica o, comunque, dal pieno riconoscimento dello status filiationis;
nel caso delle famiglie omogenitoriali, infatti, l’adozione in casi particolari, pur assicurando una limitata copertura giuridica al rapporto tra il minore e il genitore non riconosciuto legalmente, non appare istituto idoneo a riconoscere la situazione familiare nella sua specificità e soprattutto non appare idoneo a tutelare la posizione del minore in caso di separazione dei genitori ovvero di morte prematura di uno di essi; anzitutto, l’adozione resta affidata all’iniziativa del genitore non riconosciuto e, in caso di inerzia di quest’ultimo, non è in alcun modo coercibile e inoltre, in caso di morte del secondo genitore prima dell’adozione, non vi è alcun modo per assicurare tutela – anche successoria – al/la minore; in secondo luogo, l’adozione è subordinata all’espressione dell’assenso da parte del genitore legalmente riconosciuto che, in caso di morte o separazione conflittuale, potrebbe mancare come in effetti in molti casi accade, rendendo impossibile la tutela del legame tra il minore e il secondo genitore; inoltre, secondo il prevalente orientamento delle Corti minorili, l’adozione in casi particolari può essere chiesta e ottenuta solo quando il minore abbia raggiunto una certa età, con ciò privando bambine e bambini, dalla nascita e nelle prime fasi della vita, della certezza giuridica del rapporto con uno dei due genitori; l’adozione in casi particolari, infine, presuppone lo svolgimento di indagini affidate a psicologi e assistenti sociali, chiamati a valutare l’idoneità dell’ambiente familiare rispetto alla tutela dell’interesse del minore e, soprattutto, la capacità genitoriale dell’adottante; tali indagini, talora molto invasive, non solo sottopongono le famiglie omogenitoriali a una grave fonte di stress e disagio, ma rendono evidente l’inadeguatezza dell’istituto adottivo a dare copertura giuridica a situazioni familiari che esistono e sono consolidate fin dal momento della nascita del minore e anzi, a ben vedere, prima ancora di essa;
la persistente assenza di efficaci strumenti di riconoscimento e tutela dello status delle bambine e dei bambini con genitori dello stesso sesso dà luogo a gravissime difficoltà di ordine pratico; nella vita quotidiana, infatti, bambine e bambini hanno due genitori dello stesso sesso, ma solo uno è riconosciuto come tale dalla legge; l’altro genitore, invisibile all’ordinamento, non ha modo di esercitare i propri doveri e le proprie responsabilità genitoriali, dagli atti più semplici – come viaggiare – a quelli più complessi e dolorosi, ad esempio in ambito sanitario;
la Suprema Corte di Cassazione ha affermato, fin dalla sentenza della prima sezione civile del 11 gennaio 2013, n. 601, che è “un mero pregiudizio quello per cui sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”; tale conclusione è perfettamente coerente con gli studi che, ormai da decenni, indicano che l’orientamento sessuale dei genitori non rappresenta un fattore di rischio per il sano sviluppo psicologico delle bambine e dei bambini;
Considerato altresì che:
la disciplina delle registrazioni anagrafiche è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396; in particolare, per quel che riguarda la registrazione di bambine e bambini nate/i in Italia, all’ufficiale dello stato civile non è riconosciuta alcuna discrezionalità nella decisione di ricevere o meno dichiarazioni di nascita e/o di riconoscimento del minore, rimanendo ogni valutazione di legittimità dell’atto formato e – soprattutto – ogni valutazione sostanziale attinente all’esistenza dello status filiationis affidata all’autorità giudiziaria; per quel che riguarda la trascrizione di atti di nascita formati all’estero, il controllo di non contrarietà dell’atto all’ordine pubblico da parte dell’ufficiale di stato civile appare limitato a profili di carattere formale, non potendosi spingere fino a una valutazione di legittimità sostanziale né, tantomeno, a un giudizio sulla sussistenza dello status per come riconosciuto nell’ordinamento di provenienza dell’atto; anche in questo caso tali valutazioni sono infatti affidate all’autorità giudiziaria, come si evince dalle pertinenti disposizioni della legge 31 maggio 1995, n. 218, recante Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato; in ogni caso, per quanto riguarda la trascrizione degli atti stranieri con due madri, l’autorità giudiziaria – sia la Corte di Cassazione sia, indirettamente, la Corte costituzionale – si è già espressa più volte proprio per escludere tale contrarietà.
INVITA IL SINDACO
– a effettuare le registrazioni anagrafiche necessarie ad assicurare tutela alle bambine e ai bambini con genitori dello stesso sesso;
– ad adoperarsi in ogni sede politica e istituzionale per favorire l’approvazione di una legge che, disciplinando organicamente la materia del diritto delle relazioni familiari, assicuri piena eguaglianza e pari dignità sociale e giuridica a tutte le famiglie e piena tutela alle bambine e ai bambini con genitori dello stesso sesso.
Consiglieri Luca Capitani, Enrico Procopio
Oggetto: REGISTRAZIONI ANAGRAFICHE FAMIGLIE OMOGENITORIALI
Invito al Sindaco affinché proceda con le registrazioni anagrafiche dei figli di coppie omogenitoriali indicando entrambi i genitori; – Sollecito al Parlamento affinché discuta le Proposte di Legge in materia di stato giuridico dei figli di coppie omogenitoriali volte a tutelare l’interesse del minore.
PREMESSO CHE:
Nell’ordinamento italiano lo status filiationis è elemento costitutivo dell’identità personale, protetta dall’articolo 2 della Costituzione. Già da tempo è stato ritenuto che l’ambito di operatività, e quindi di riconoscimento e tutela costituzionale, dell’articolo 2 della Costituzione si estende anche alla fattispecie della famiglia di fatto e a quella composta da persone dello stesso sesso; l’evoluzione dell’ordinamento, muovendo dalla nozione tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto rilievo giuridico alla genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica (sentenza Corte costituzionale n. 272 del 2017), tenuto conto che «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa» (sentenza Corte costituzionale n. 162 del 2014); nell’ordinamento giuridico italiano, sebbene l’impianto legislativo della legge n. 40 del 2004, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita, precluda il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie dello stesso sesso, continua a mancare un esplicito divieto di accogliere atti di registrazione di figli nati a seguito di tecniche praticate all’estero; l’art. 9 della medesima legge sopracitata, inoltre, nel valorizzare, rispetto al favor veritatis, il consenso alla genitorialità e l’assunzione della conseguente responsabilità nell’ambito di una formazione sociale idonea ad accogliere il minore «dimostra la volontà di tutelare gli interessi del figlio», garantendo «il consolidamento in capo al figlio di una propria identità affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva l’interesse a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche eventualmente in contrasto con la verità biologica della procreazione» (sentenza Corte costituzionale n. 127 del 2020); anche sul piano del diritto dell’Unione europea, la Carta dei diritti fondamentali UE dichiara, all’articolo 24, comma 2, che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente»; nell’ambito del diritto internazionale, nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959 (principio 2), si prevede che, nell’approvazione di leggi e nell’adozione di tutti i provvedimenti che incidano sulla condizione del minore, ai “best interests of the child” debba attribuirsi rilievo determinante (“paramount consideration”); anche nella Convenzione sui diritti del fanciullo – approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a New York ed entrata in vigore il 2 settembre 1990 -, che rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia, si fa menzione all’articolo 3, paragrafo 1, del rilievo preminente (“primary consideration”) da riservare agli interessi del minore. Incombe, sugli Stati aderenti alla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York (art. 9, paragrafo 1) l’obbligo di rendere effettivi tali diritti e di garantire (art. 9, paragrafo 3) la stabilità dei legami e delle relazioni del minore in riferimento a tutte le persone con cui quest’ultimo abbia instaurato un rapporto personale stretto, pur in assenza di un legame biologico («persons with whom the child has had strong personal relationships» (General Comment No. 14 (2013) on the right of the child to have his or her best interests taken as a primary consideration (art. 3, para. 1), adottato dal Comitato sui diritti del fanciullo il 29 maggio 2013, CRC/C/GC/14); in sede di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, lo Stato italiano si è impegnato ad adottare «tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, dalle opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei suoi familiari» nonché a tenere in considerazione «l’interesse prevalente del minore» in tutte le decisioni relative ai bambini (Legge 27 maggio 1991 n.176, articoli 2 e 3); la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha ripetutamente ricondotto all’art. 8 CEDU la garanzia di legami affettivi stabili con chi, indipendentemente dal vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale, prendendosi cura del minore per un lasso di tempo sufficientemente ampio (Corte EDU, sezione prima, sentenza del 16 luglio 2015, Nazarenko contro Russia, paragrafo 66);
CONSIDERATO CHE:
la trasmissione degli atti formati all’estero per la trascrizione nei registri dello stato civile è un procedimento imposto ai sensi dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, non sussistendo discrezionalità in capo all’ufficiale di stato civile. Ai sensi dell’articolo 236 del codice civile, l’atto di nascita è strumento idoneo a provare il possesso di uno status, in questo caso di figlio, che verrebbe quindi deliberatamente modificato dall’ufficiale dello stato civile che ometta di trascrivere entrambi i genitori, mettendo in atto una condotta di alterazione di stato, nonché una falsità materiale; con le sentenze 32 e 33 del 2021, la Corte Costituzionale ha riscontrato nell’ordinamento italiano la sussistenza di un grave vuoto di tutela dell’interesse del minore, in quanto, seppur non vietata, non è nemmeno garantita in maniera esplicita una forma di riconoscimento dei legami affettivi del minore nato a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita praticate all’estero da una coppia di persone dello stesso sesso. Tali bambini, di conseguenza, rischierebbero di essere ascrivibili alla categoria di «nati non riconoscibili», subendo di conseguenza una ingiustificata compressione dei propri diritti da far valere nei confronti delle due persone che si sono assunte la responsabilità della procreazione, tra i quali, a titolo esemplificativo, i diritti al mantenimento, all’educazione, all’istruzione, ma anche i diritti successori, soprattutto in caso di inadempimento e di crisi di coppia; con le medesime sentenze sopracitate, la Corte costituzionale ha rivolto un netto monito al legislatore, chiarendo che lo stesso «nell’esercizio della sua discrezionalità, dovrà al più presto colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori», e concludendo, infine, che «non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore»; sul piano dell’attività legislativa, già nella XVIII legislatura sono state depositate alla Camera dei Deputati proposte di legge volte a dare seguito al monito espresso dalla Corte costituzionale nelle sopracitate Sentenze 32 e 33 del 2021, tra le quali vi è una Proposta a prima firma Riccardo Magi, ripresentata nella legislatura in corso (A.C. 70). Tale proposta, recante modifiche alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di stato giuridico dei nati a seguito di procreazione medicalmente assistita, senza intervenire sui requisiti o sulle condizioni di accesso alle tecniche di PMA in Italia, né in materia di Gestazione per Altri, si limita a garantire l’interesse del minore alla continuità dello status filiationis, anche qualora sia nato a seguito dell’applicazione di tecniche praticate al di fuori delle condizioni e in assenza dei requisiti previsti, senza che a tal fine rilevi che ciò si sia verificato in violazione della normativa italiana ovvero, legittimamente, in un Paese estero in osservanza della relativa normativa.
INVITA Il Sindaco, anche a fronte delle evoluzioni del quadro giurisprudenziale e normativo, a procedere con le registrazioni anagrafiche dei figli di coppie omogenitoriali indicando quali genitori entrambe le persone che si sono consapevolmente assunte la responsabilità della procreazione.
SOLLECITA Il Parlamento a discutere le proposte di legge indicate in premessa e comunque a modificare la normativa per porre fine alle discriminazioni in essere che determinano una grave violazione dei diritti preminenti del minore, dando seguito al monito espresso dalla Corte costituzionale con le Sentenze 32 e 33 del 2021, nonché per riconoscere l’eguaglianza e la pari dignità di tutte le famiglie.
Gruppo Apriti Budrio
30 Maggio 2023 – mozione
Il Consiglio Comunale di Budrio (Bologna)
Premesso che
- Secondo l’articolo 2 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, gli Stati membri devono impegnarsi al rispetto dei diritti enunciati nella suddetta Convenzione e a garantirli ad ogni minore sotto la loro giurisdizione senza nessuna distinzione o pregiudizio, col fine ultimo di tutelare ogni fanciullo contro ogni forma di discriminazione.
- Il tema chiave dell’integrazione delle cittadine e cittadini stranieri in Italia e in Europa è una delle sfide più impegnative da affrontare per gli Stati Europei ed è un impegno sul quale si gioca il futuro stesso del nostro Paese. La necessità di una nuova legislazione in materia di cittadinanza per gli stranieri che risiedono in Italia è oggetto del dibattito politico in diversi luoghi istituzionali.
- La Convenzione Europea sulla Nazionalità siglata tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa il 6 novembre 1997, ancora in attesa di essere ratificata da parte del nostro Paese, prevede che ciascuno Stato faciliti, nell’ambito del diritto domestico, l’acquisizione della cittadinanza da parte delle “persone nate sul suo territorio e ivi domiciliate legalmente ed abitualmente” (art.6, comma 4, lettera e).
- L’articolo 3 della Costituzione Italiana garantisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Premesso inoltre che
- Gli stranieri residenti a Budrio ad oggi sono 1744, pari al 9,5% della popolazione residente; di questi, 1138 sono extracomunitari, pari al 65%, e 368 sono minori, pari al 21%.
- Il nostro Statuto Comunale prevede che il Comune ispiri “la sua azione ai valori di equità, di solidarietà, di giustizia sociale”, concorra “all’affermazione della pace e della libertà finalizzando la sua iniziativa alla promozione e alla attuazione dei principi costituzionali” (art.2) e promuova “le iniziative e gli interventi necessari per assicurare pari dignità ai cittadini e per tutelare i diritti fondamentali” (art. 3).
Considerato che
- È necessario riformare la legge 91/1992 in considerazione dei mutamenti che hanno interessato e tuttora interessano il tessuto del nostro Paese, andando anche a tutelare la fascia dei minori nati in Italia o all’estero da genitori stranieri e residenti in Italia, attualmente esclusa dalla normativa per l’ottenimento della cittadinanza italiana.
- La mancanza della cittadinanza, oltre ad imporre a questi giovani che vivono sul territorio italiano l’obbligo di rinnovare ciclicamente il permesso di soggiorno, priva loro – di fatto discriminandoli – di alcuni diritti fondamentali per il loro futuro umano e professionale, come la possibilità di partecipare a concorsi pubblici, la libera circolazione nei Paesi dell’Unione Europea e, per alcuni di loro, il diritto di elettorato attivo e passivo.
- L’ottenimento della cittadinanza italiana conferisce diritti e doveri ai giovani stranieri che già vivono la realtà del nostro Paese, andando quindi allo stesso tempo a tutelarli e responsabilizzarli, rendendoli protagonisti attivi e positivi nella costruzione della società in cui tutti noi viviamo e favorendo il processo di integrazione, considerando tutto ciò come un arricchimento culturale, sociale ed economico per l’Italia.
Impegna la Sindaca e la Giunta
- A riprendere l’organizzazione e la promozione della Cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria budriese ai minori residenti a Budrio che abbiano completato il ciclo di studi della scuola primaria o secondaria di primo grado, da tenersi il giorno 2 Giugno, Festa della Repubblica, con una celebrazione pubblica in presenza della Sindaca e dei membri dell’Amministrazione comunale, aperta a tutta la cittadinanza.
- A continuare a rivestire attivamente il ruolo di organi informatori e di riferimento per chiunque, in vista del raggiungimento della maggiore età, si accinga all’avviamento della richiesta della cittadinanza italiana e avesse bisogno di supporto di qualsiasi tipo durante tutto l’iter.
- A promuovere nelle scuole dei percorsi di riflessione ed approfondimento sul tema dell’integrazione e della cittadinanza, con l’obiettivo di trattare in modo trasversale quelli che sono i diritti e i doveri dell’essere cittadino nel nostro Paese.
- Ad attivarsi, in rete con altri Comuni, per sollecitare il Parlamento ad approvare quanto prima una nuova legge sulla Cittadinanza italiana che riconosca pieni diritti ai figli dei migranti nati o cresciuti in Italia e agli stranieri che vivono stabilmente in Italia, superando l’attuale normativa basata sullo “ius sanguinis” e orientandosi verso l’approvazione dello “ius soli”.
- A trasmettere la presente mozione ai Presidenti di Camera e Senato ed ai Capigruppo dei partiti politici presenti in Parlamento.