25 aprile 2023. Cos’ha detto la sindaca, in piazza Filopanti
È il 78esimo anniversario della Liberazione d’Italia.
I simboli sono importanti, ci tengono insieme, ci fanno riconoscere in qualcosa. E questo è senza dubbio il giorno più importante per la Repubblica Italiana, per la democrazia, per la nostra convivenza civile.
Celebriamo la Festa della Liberazione. Festeggiamo il 25 aprile 1945 come data fondativa, senza la quale non sarebbe stato possibile tutto il resto, a partire 2 giugno 1946, il giorno del Referendum in cui gli italiani scelsero la Repubblica e chiusero con una monarchia complice della dittatura, dei crimini politici e delle discriminazione razziali e delle deportazioni.
Liberazione da cosa?
L’Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 è un Paese occupato da un esercito straniero, quello tedesco. Inizia lì la Resistenza che ha le radici nell’antifascismo sviluppato fin dalla metà degli anni venti. La Resistenza è un movimento europeo e in Italia fu caratterizzata dall’impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici: comunisti, azionisti, socialisti, democristiani, repubblicani, monarchici, in maggioranza riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Com’è stato scritto da Marino Sinibaldi in “la Resistenza delle persone”
Si arrivava a combattere per destino personale o familiare, come antifascisti o figli di perseguitati da sempre, oppure per una conversione improvvisa, che di colpo rompeva con tutto quello che si era stati e in cui si aveva creduto: la famiglia, la fede, l’educazione. Si arrivava con la gioia di liberarsi o con il dolore di vendicarsi, con l’orgoglio di prendere in mano il proprio destino o con la disperazione di chi non ha alternative. Per ragioni diverse e diversamente alte.
Queste motivazioni comuni non indeboliscono l’immagine della Resistenza ma ne esaltano l’umanità. Restituiscono la sua verità di fenomeno complesso e lo strappano a qualunque mitizzazione. Evitano che diventi qualcosa di inaccessibile, quasi di inconcepibile. Non lo fu: fu una esperienza coraggiosa e in qualche caso eroica di uomini e donne comuni.
Si disse e si sente ancora dire: “dopotutto la Resistenza non ha avuto nessun peso militare. Si sarebbero potute evitare tante sofferenze e tanti morti…”.
Sappiamo che non è così, per almeno due grandi motivi. Innanzitutto, dal punto di vista strettamente militare il ruolo della Resistenza Italiana nella vittoria alleata fu molto significativo. Lo dicono i fatti: occupare valli e colline, bloccare vie di comunicazione, liberare e governare per mesi interi territori e intere città, tenere impegnate fino a 7 divisioni tedesche non sono cose irrilevanti, tutt’altro! Lo riferiscono con chiarezza i comandanti tedeschi che parlano, nei loro bollettini di guerra, della “tenace resistenza” opposta dai terroristi (così erano definiti i partigiani dai tedeschi). Non ci sono solo le squadre dei combattenti partigiani sui monti e sulle colline. Nella Resistenza, giustamente, si identifica la lotta disperata dei militari italiani nei sobborghi di Roma dopo lo sbando seguito all’8 settembre ‘43, così come la vicenda tragica dei reparti dell’esercito rimasti isolati in Grecia e nei Balcani, come la divisione Aqui a Cefalonia. E c’è la guerra dei Gap nelle grandi città, rese insicure e pericolose per gli occupanti nazisti. Il comandante degli eserciti alleati nel Mediterraneo, il generale Alexander, disse di aver incominciato a rispettare gli italiani dopo aver saputo dell’attacco di via Rasella, quando 17 partigiani osarono sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato.
Oltre a tutto questo, c’è il secondo motivo che è un elemento ideale, simbolico e anche politico e culturale: la Resistenza mostrò al mondo che tanti italiani, molti dei quali giovani che avevano vissuto tutta la loro vita sotto il regime, il fascismo lo rifiutavano, non ci credevano più, volevano un’Italia libera e democratica e che per questa erano disposti a mettere in gioco tutto, anche la loro vita. Il solo fatto di aver mostrato al mondo questa nuova Italia basterebbe a rendere preziosa – anzi fondamentale – quella lotta: la lotta di liberazione la cui vittoria oggi festeggiamo.
Un padre della Repubblica, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, affermò, nel discorso alle Nazioni Unite del 1946 rivolgendosi ai vincitori, che l’Italia non doveva essere considerato un Paese sconfitto. Poté farlo grazie alla Resistenza in tutte le sue forme.
“Le perdite nella Resistenza contro i tedeschi, prima e dopo la dichiarazione di guerra – disse De Gasperi – furono di oltre 100 mila uomini tra morti e dispersi, senza contare i militari e civili vittime dei nazisti nei campi di concentramento e i 50 mila patrioti caduti nella lotta partigiana.”
Ecco quindi il valore della Resistenza.
Guardate, non c’è niente di retorico in tutto questo, ma qualcosa di sostanziale. Per ridare dignità alla propria nazione, dopo che si è macchiata di crimini indicibili, serve riscattarsi e cambiare strada, non rimanere alla finestra a guardare. È la scelta dei singoli che diventano una comunità, dunque, a cambiare la direzione della storia, sfidando eserciti più attrezzati e numerosi, repressioni violente, dittature apparentemente inossidabili.
E allora, per esempio, guardiamo all’esperienza del Rojava nella Siria del Nord che, oltre a essere stata determinante per la sconfitta militare dell’Isis, promuove una nuova forma di democrazia che in Medio Oriente non esiste e che si batte per una società migliore, a partire dall’uguaglianza di genere e dalla sostenibilità ambientale. Così come nella lotta dei giovani iraniani contro il regime teocratico dopo la morte in carcere di Mahsa Amini, ritroviamo oggi il senso e i valori di chi si oppose al fascismo e al nazismo. Come ritroviamo quei valori nelle proteste popolari in Georgia contro un governo sotto l’influenza russa, con le bandiere dell’Unione Europee sventolate come simbolo di speranza per la libertà e la democrazia.
Da questa piazza seguiamo con apprensione l’evolversi delle vicende che riguardano il Sudan, in queste ore.
Battaglie e lotte che dovrebbero riguardarci più da vicino e che invece troppo spesso sentiamo come lontane.
Volutamente in questo giorno non voglio dare spazio alle polemiche politiche sul 25 aprile. Sono polemiche miserevoli su una pagina della nostra storia – la storia di tutti noi – che merita altro destino. Fa male che a farle sia chi ricopre la seconda carica dello Stato o chi dal governo parla di sostituzione etnica con estrema leggerezza.
Come disse una volta l’intellettuale e padre costituente Vittorio Foa a un senatore del Movimento Sociale “Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore. Questa è una differenza capitale.”
“Perché mai dovrebbero essere vissute come date divisive?” si chiedeva Liliana Segre nel presiedere la prima seduta del Senato nell’ottobre scorso.
E rimetteva al centro l’alto valore politico e sociale della Costituzione Italiana, nata dalla Resistenza: “se le energie – ha detto Liliana Segre – che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione, peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi, fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice.”
In piena pandemia, sulle pagine del Post, il giornalista Marino Sinibaldi scriveva:
“Nella storia di una nazione non sono molti i momenti in cui ci si trova tutti insieme dentro un dramma che consuma vite in gran numero e per lungo tempo, cambia spazi e tempi di ogni esistenza, penetra nelle emozioni più intime fino ai sogni, altera le persone e le relazioni. Ancor meno quelli in cui la reazione non è solo la soluzione o l’aggiustamento personale ma una qualche azione collettiva aperta e responsabile. Nella storia degli italiani ce n’è uno solo, di questi momenti, ed è la Resistenza. Alcune centinaia di migliaia di uomini e donne in maniere e forme diverse, mettendo in gioco e rischiando la vita intera o qualcosa di meno fatale scelsero il modo giusto per affrontare il dramma collettivo.
Che vuol dire il modo giusto?
Quello che consentì tanto il riscatto individuale quanto la costruzione di una società migliore per tutti: la liberazione morale (e personale) e quella politica collettiva.”
Io credo che in questi anni, in questo mondo così caratterizzato da individualità, di destini personali che vengono prima di quelli collettivi, di diritti sociali, civili e ambientali non ancora riconosciuti, di dibattiti su accoglienza, di privilegi, di conformismo e omologazione, di battaglie ancora in corso per la qualità del lavoro, di mancanza di equità di genere, di soffitti di cristallo da rompere.. ecco io credo che di fronte a questo mondo, prenderci il tempo di studiare, riflettere e attualizzare la Resistenza sia un grande esercizio per irrobustire il nostro essere e sentirci cittadini, parte di una comunità.
Assunzione di responsabilità, ricerca della verità, necessità della trasformazione e della ricostruzione: sono le sfide che una generazione si è trovata di fronte quasi ottanta anni fa.
Sono lontane e imparagonabili, certo, ma sono così diverse dalle sfide che stiamo affrontando più o meno consapevolmente in questo nostro tempo?
Per questo come amministrazione vogliamo legare fortemente il 25 aprile al concetto di scelta.
Lo facciamo chiedendo ai ragazzi delle scuole di raccontarci come vedono il mondo, come elaborano la storia nei fatti di oggi. Lo facciamo come cittadini non voltandoci dall’altra parte quando qualcosa non va come dovrebbe andare. Esprimendo le nostre idee, promuovendo un approccio empatico nei confronti degli altri. Ma sapendo, allo stesso tempo, da che parte stare. Quali sono i valori che ci guidano come comunità larga.
Per questo anticipo che partirà un progetto biennale che ci condurrà al 25 aprile 2025, anno in cui celebreremo gli 80 anni della Liberazione.
Negli anni ho avuto la fortuna di salire su questo palco con la bandiera dell’Anpi, insieme a Claudio Galli, partigiano budriese e persona cara a cui, ancora oggi, siamo profondamente legati. Ho fatto parte dell’ultima generazione di antifascisti che ha avuto la possibilità di essere con lui qui il 25 aprile e in tanti altri momenti di trasmissione della memoria. Galli ci ha insegnato, con molta umanità e semplicità, l’importanza di quella bandiera, la centralità dei valori di cui è stato instancabile testimone e di cui siamo diventati noi, ora, promotori.
La sua tenacia, oggi, è la nostra.
Anche per questo motivo, essere qui per il discorso della Liberazione – lo ammetto – con la fascia tricolore è una grande emozione che condivido insieme a voi, nella piazza del nostro paese.
Grazie. Viva la Resistenza. Viva la Liberazione d’Italia.